I Siti archeologici della Provincia del Sulcis Iglesiente 

e la storia del Sud Ovest della Regione Sardegna

Nebida Vacanze

 

Le rovine del TEMPLI ROMANI DI ANTAS 

Il tempio di Antas è un tempio romano realizzato sotto Caracolla, sulle rovine di un tempio Punico del VI secolo a.c., costruito intorno ad una roccia sacra posta in una cella del tempio.

I Cartaginesi lo costruirono nell’area di un luogo di culto molto più antico frequentato da indigeni prima della loro dominazione e lo dedicarono al dio Sid figlio di Ercole. 

Furono invece successivamente i romani a  dedicarlo al “Deus Sardus Pater Babai” identificabile col Sid Babay punico associato dai cartaginesi al dio locale a cui era dedicato il santuario prepunico.

 

Tempio romano di Antas che si erige sulle montagne retrostanti Nebida.

 

Le Chiese Medioevali e le Mura pisane di  Iglesias

Il nome spagnolo di Iglesias (comune di cui Nebida è frazione) deriva forse dalle numerose chiese  romaniche e gotiche (dal Duomo di Santa Chiara all'abbazia di Val Verde, alla Chiesa di Sanfrancesco) ma questo suo nome è relativamente recente. Prima la città era denominata Villa di Chiesa ed ancor più anticamente Villeclesia  Argentaria. 

Tra il 1256 e il 1258 il giudicato di Cagliari venne conquistato da Pisa e il suo territorio suddiviso tra la stessa e tre potenti famiglie della città toscana. 

Ai conti Donaritico della Gherardesca andava una porzione del campidano e precisamente a Gherardo il Sulcis e a Ugolino (noto personaggio storico citato anche da Dante nella divina Commedia) spettava invece il Sigerro che comprendeva Villa di Chiesa ovvero Iglesias. 

 

Il Duomo dedicato a Santa Shiara

 

Da questo momento incominciò lo sviluppo di Iglesias, che venne cinta di mura interrotte da maestose torri (parte delle quali ancora visibili), gli fu riconosciuto il privilegio di battere moneta propria e le sue leggi furono scritte nel “Breve”, un regolamento per le attività minerarie.
Tali attività hanno dato lustro alla città fino ai giorni nostri, tanto che Iglesias è sicuramente considerata la città mineraria per eccellenza, sicuramente la più importante della Sardegna e non solo. 
Da visitare, oltre ai numerosi siti minerari, numerose testimonianze del periodo medievale.

 

Le Mura Pisane di Iglesias

 

 

Il villaggio nuragico di Seruci 

Scorcio di un Nuraghe del Complesso Nuragico di Seruci.

Il complesso nuragico di Seruci, che si estende su circa cinque ettari ed è uno dei più grandi della Sardegna, è formato da un grande nuraghe con un mastio contornato da almeno cinque torri unite da un bastione, dal villaggio composto da oltre cento capanne e da almeno tre tombe dei giganti. 

Il nuraghe, ancora in fase di scavo da parte della Sovrintendenza Archeologica, fu scoperto nel 1897, e in seguito fu studiato e parzialmente scavato dal Taramelli nel 1913. 

Il villaggio, situato a sinistra del mastio, è formato da capanne circolari e monocellulari, di cui sono attualmente visibili, interamente scavate, cinque capanne, una delle quali divisa da un tramezzo interno (elemento raro nell'architettura nuragica), e un grande isolato formato da un cortile con intorno undici ambienti probabilmente ad uso abitativo. 

Le capanne formano degli agglomerati divisi da strette stradine che portano tutte verso una piazza centrale, al centro del villaggio si trova quella che è stata denominata la Sala del Consiglio, i cui muri sono costruiti con grossi blocchi di trachite di varie dimensioni. 

All'interno vi sono dei blocchi squadrati, che addossati alla parete uno accanto all'altro, formano un sedile. Sulle pareti sono posizionate alcune nicchie di diverse grandezze, situate ad altezze diverse. A ovest del villaggio si trova una delle tre tombe dei giganti, mentre le altre due si trovano nei pressi del nuraghe.

 

L'acropoli e la necropoli Nuragica Fenicia e Cartaginese di Monte Sirai 

Panorama grandangolare sulla vasta acropoli fortificata di Monte Sirai

 

Monte Sirai (accanto alla moderna città di Carbonia ad una ventina di chilometri da Nebida) è la più importante fortezza fenicio-punica della Sardegna che arrivò ad ospitare circa 600 soldati. Posta su una panoramica collina recintata con mura dallo spessore dai quattro ai cinque metri, si trovano sul versante sud l’acropoli e a nord la necropoli e un luogo sacro dove s’incontra l’area del tophet.
Numerose sono le fasi edilizie secondo le diverse funzioni a cui fu adibito nel corso dei secoli: 

Inizialmente torre nuragica, poi incorporata dal mastio durante la realizzazione dell’acropoli nel VI secolo a.c. sino alla seconda metà del III o alla prima del II secolo a.c. quando da centro difensivo diventa anche luogo di culto.

 

 

Dettaglio della Necropoli utilizzata da Fenici, Nuragici e Cartaginesi 


La Torre dei corsari e la Tonnara di Portoscuso 

Portoscuso, che dista meno di venti chilometri da Nebida, oltre ad essere un tranquilla località balneare, è un paese ricco di tradizioni.  La sua Storia è rappresentata dalla torre, costruita su una parte rocciosa che domina tutto il golfo circostante, fa parte di una serie di torri che circondano le coste sarde, costruire dagli aragonesi a scopo di difesa; dalla costante aggressione dei Corsari Saraceni, i quali costituivano pericolo sia per i naviganti sia per i paesi costieri che vivevano nel terrore di possibili saccheggi.
La costruzione della Torre di Portoscuso avenne durante il governo del Vicerè Don Gastone di Moncada, che svolse il suo incarico dal 1590 al 1595. Le torri, più di cento in tutta la Sardegna, venivano mantenute dai sardi col pagamento di un dazio sui formaggi e su altre merci locali. Alcune torri venivano costruite con il compito di segnalare gli eventuali pericoli, altre con il compito di difesa vera e propria. La scelta della loro costruzione solitamente avveniva nei punti più alti degli imbocchi dei porti, per proteggere i traffici marittimi in genere e per proteggere il ricavato della pesca del tonno e del corallo.
La costruzione della torre fu realizzata conl'autorizzazione di Filippo II e dal mercante Pietro Porta. Nel primo ventennio del 1600 la Torre di Portoscuso fu ricostruita almeno due volte.
Nella Torre di Portoscuso vi erano l'Alcaide, un artigliere e quattro soldati; inoltre, vi erano due pezzi di artiglieria: un "sacre" e un "medio sacre". La nomina degli Alcaidi e degli artiglieri era attribuita al Re.

La Tonnara di Portoscuso

La tonnara a Portoscuso costituiva un richiamo ai corsari di Berberia, Tunisia e Algeria, che saccheggiavano le strutture e rubavano tutto quello che vi si produceva, e distruggendo la Torre e gli impianti delle tonnare. Il 20 settembre 1636, da sette galere di Algeri, sbarcarono 700 mori che bruciarono le baracche della tonnara e distrussero la Torre; la battaglia durò dalle sei del mattino fino alle quattro del mattino, la porta della Torre era in legno e prese fuoco costringendo i soldati e il tenente Don Luigi Despinosa ad abbandonare la Torre, con la conseguente cattura di questi ultimi che furono poi portati nell'isola di San Pietro.
Anche quando l'amministrazione delle torri passò alla casa Savoia, la torre continuò ad essere utilizzata a scopo di difesa delle coste. In seguito a questo avvenimento la Torre fu sollevata di 24 palmi in modo di diffendere la tonnara e i vascelli con più facilità; ma nel 1660 i corsari di Biserta e di Algeri, con sette galere, occuparono la Torre facendo prigioniero l'Alcaide e tre uomini. Successivamente l'arrivo della cavalleria costrinse il nemico alla ritirata.
Nel 1760 la Torre fu ricostruita e dal 1842 fino al 1970 ospitò la Regia Guardia delle Gabelle (la finanza); nel 1970 fu riconosciuta un bene monumentale passando sotto la tutela della sovrintendenza dei beni culturali, successivame fu assegnata all'Associazione turistica Pro loco di Portoscuso.
Oggi la Torre è uttilizzata come museo e come sala per manifestazioni culturali e congressi.

 

Tophet Fienici e altre testimonianze storiche di Sant'Antioco 

Il più antico insediamento fenicio è probabilmente Sulci, ovvero il porto dell'odierna Sant'Antioco, da cui prende il nome l'intero territorio nel Sud ovest della Sardegna. 

Come tutte le città fenicie e puniche occidentali, anche Sulci, possedeva il "tophet" ovvero un'area sacra a cielo aperto in cui venivano deposte urne contententi resti cremati di bambini e piccoli animali, accompagnate da stele scolpite con simboli religiosi o figure divine.

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Tophet di Santantioco con i suoi preziosi vasi


Frequenti le rappresentazioni di divinità femminili, come la dea Tanit, spesso all'interno di un piccolo tempio di stile greco o egittizzante.
I primi tempi della frequentazione fenicia sono testimoniati dall'uso di materiali di pregio, e negli scavi di Sant'Antioco sono emersi prodotti ceramici fenici e greci geometrici di grandissimo pregio. 

A fianco delle forme consuete del vasellame fenicio (brocca con orlo a fungo, fiasca da pellegrino, orciolo) si trovano anche oggetti prodotti in Etruria: vasi in bucchero (brocche, kantharoi), etrusco-corinzi (aryballoi e coppe) ed in Grecia: ayballoi corinzi e coppe greco orientali, anch'essi importati mediante il tramite etrusco.

 

La cattedrale di Tratalias 

La Chiesa di Santa Maria  in tempi remoti fu Cattedrale della Diocesi del Sulcis, spostata appunto da Santantioco (sull'omonima isola) a Tratalias nell'entroterra sulcitano, a causa dell'insicurezza causata dalle frequenti incursioni Saracene sulla costa. 

Cattedrale di Santa Maria di Tratalias

Fu costruita nel 1213, nel periodo giudicale, con trachite grigia, in stile romanico francese e pisano. Fortunatamente conserva quasi interamente lo stile e le forme originarie. La facciata presenta al centro il portale con stipiti decorati da caitelli sormontati da un architrave su cui poggia un arco a tutto sesto. Nella parte alta della facciata, al di sopra di un grande rosone scolpito e traforato, si trova il timpano triangolare, caratterizzato dalla presenza di una scala che serviva per accedere al tetto. 
Le pareti laterali sono scandite da lesene su cui poggiano archetti pensili a tutto sesto, che decorano l'edificio lungo tutto il perimetro. All'interno la chiesa si presenta divisa in tre navate, divise da pilastri che formano sei arcate. A lato del presbiterio si trova invece la scala di accesso alla cripta. La copertura è sostenuta da travi in legno poggianti su mensole. 

 

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